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Il fatto che a spingere J.P. Morgan a uscire dai fondi Fairfield siano stati i dubbi su Madoff, agli occhi di alcuni investitori cambia tutto. «Da quando ho saputo dell'arresto di Madoff, ho cominciato a domandarmi se fosse stato solo un incredibile colpo di fortuna, o se piuttosto J.P. Morgan New York non fosse venuta a sapere qualcosa che ha poi spinto Londra a disinvestire di corsa. E adesso che vengo a sapere che era uscita per i suoi sospetti su Madoff, i dubbi mi aumentano», dice il responsabile della consulenza istituzionale della Sim italiana.
Una cosa è certa: nessuno degli altri emittenti di certificati indicizzati ai fondi di Madoff ha avuto la prontezza di uscire alla vigilia dell'arresto. E sono tutti rimasti incastrati. «Ma nessuna di quelle altre banche aveva legami con Madoff. JPMorgan Chase invece era la sua banca. E questo semplice fatto non può che alimentare sospetti sul motivo della decisione di uscire al penultimo minuto», commenta una fonte vicina a Fairfield.
In questa vicenda la banca newyorkese ha giocato simultaneamente in più ruoli. Da un lato dell'Atlantico, J.P. Morgan International Derivatives Ltd era l'emittente di prodotti strutturati legati a un fondo gestito da Madoff. Dall'altro lato dell'oceano, JPMorgan Chase forniva servizi bancari a Blmis, la società del sospetto truffatore. Due dei cinque conti bancari che la Security Exchange Commission, e cioè la Consob americana, ha congelato all'indomani dell'arresto erano proprio di JPMorgan Chase.
Lemkau ha fermamente negato che l'accesso a quei conti abbia motivato la decisione di uscire dai fondi. Ma in qualità di sua banca, Chase sarebbe stata certamente in grado di visionare dall'interno le attività finanziarie di Blmis.
«Se chiedi un mutuo, è normale che una banca vada a guardare i movimenti del tuo conto per capire come sei messo. È quindi possibile che siano andati a vedere lo stato dei conti di Madoff per meglio valutare i rischi del loro investimento nel fondo», dice Stuart L. Greenbaum, esperto di banche che fino a poco tempo fa era rettore della Olin Business School della Washington University, secondo il quale potrebbero esserci oggi i margini per una causa da parte degli investitori.
Uno degli aspetti chiave di un'eventuale azione legale è ovviamente il danno che la banca può aver causato agli investitori col proprio comportamento. «Si deve dimostrare che quello che la banca ha fatto, oppure ha mancato di fare, ha peggiorato la situazione – fa notare Charles Mooney Jr, professore di legge della University of Pennsylvania –. Se fossi l'avvocato della banca, porrei queste domande. E le risposte non sono affatto chiare».
Certo è che la reputazione di J.P. Morgan fu un elemento che spinse un altro gestore europeo, da noi sentito, a decidere d'investire una fetta dei capitali dei propri clienti nei certificati indicizzati su Sentry. «Quando ho visto che J.P. Morgan era disposta a mettere la propria faccia e i propri soldi su Sentry costruendoci sopra un prodotto strutturato, ho pensato che non ci fosse più motivo di essere ancora cauti. A quel punto ho raddoppiato il mio impegno su Sentry, comprando quei certificati», ci dice il gestore, che chiede di rimanere anonimo.
J.P. Morgan non ha mai inviato alcuna comunicazione della sua uscita dal sottostante. «Siamo andati a studiare il prospetto e abbiamo concluso che non c'erano obblighi di comunicazione. Ma sarebbe stato logico che ci fosse stata. Dopo una mossa così insolita, io me la sarei aspettata. Da quando opero nel settore, quindi quattro o cinque anni, non mi era mai capitato di sentire che un emittente uscisse dal sottostante di un suo strutturato», spiega il gestore della Sim.
Un'altra fonte ci ha inoltre detto che, dopo la sua uscita, la banca ha attribuito alle note un valore artificialmente basso sul mercato secondario. In altre parole, agli investitori che volevano a quel punto redimere i certificati offriva un valore decisamente più basso di quanto il rendimento di Sentry non giustificasse. «A ottobre, alcuni clienti mi chiesero di liquidare. Si trattava di note da 50mila euro e, includendo l'ammenda per l'uscita anticipata, mi aspettavo che attribuissero un valore di 51-52mila euro. Invece cominciarono a liquidarmi a 44mila – rivela quest'altra fonte - Quando me ne accorsi, fermai immediatamente l'ordine di remissione. Ovviamente, dopo l'arresto di Madoff mi sono mangiato le mani per averlo fatto».
Da quando è stato arrestato Madoff a oggi, gli investitori hanno ricevuto soltanto la notifica del cosiddetto lock-up, ossia il congelamento delle richieste di disinvestimento. La comunicazione, datata 31 dicembre 2008, è stata inviata ai sottoscrittori dei certificati indicizzati su Fairfield Sentry. L'avviso è firmato da Timothy R. Hailes, direttore generale e legale di JPMorgan Chase & Co di Londra.
«Da allora non abbiamo mai ricevuto nient'altro – dice il gestore europeo -. A oggi, non so ancora quale valore J.P. Morgan attribuisca a quelle note. Tutto quello che so è che se vado sulla pagina di Bloomberg non trovo più il prezzo riportato».
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